Libri
I libri che parlano della nostra esperienza e di don Didimo.
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Il volto più vero. Diari Didimo Mantiero Ed. Rizzoli (Collana "I libri dello spirito cristiano") RECENSIONE | Il compito di Abramo - La Dieci: storia di un'esperienza ecclesiale C. Mesoniat - A. Moccetti Ed. Jaca Book (Collana "Già e non ancora"), 1988 | La "Dieci" di don Didimo Mantiero Ludmila Grygiel Ed. San Paolo, 1995 (prefazione dell'ex-cardinale Joseph Ratzinger) | Il "Comune dei Giovani" di Bassano del Grappa: un metodo originale di educazione alla fede don Paolo Baldo Tesi di dottorato in Sacra Teologia Univ. Lateranense, Roma 1999 |
Il volto più vero. Diari
Il diario giovanile di don Didimo è segno di una umanità che dalla familiarità con il Signore traeva l'esempio di una partecipazione appassionata e fedele alla vita dei giovani che incontrava. Sfidando la loro libertà con l'impeto del suo temperamento e con la forza della sua esperienza.
Don Didimo ha generato una fraternità reale che attraverso la discrezione della Dieci è l'anima del Comune dei Giovani e della Scuola di cultura cattolica, opere che dicono a tutti la bellezza della vita cristiana. E in chi le accosta suscitano lo stupore come di fronte a una cosa grande. Per cui faccio mie le parole del cardinale Ratzinger: "Qui non c'è nulla di stravagante, nulla di forzato, nessun accadimento ideologico; qui c'è la gioia cristiana e dalla gioia cristiana e dalla forza del Vangelo deriva l'impegno umano".
(dalla Prefazione di Luigi Giussani)
Recensione de Il Giornale, mercoledì 24 aprile: Don Didimo e la bellezza delle storie minime (L. Doninelli):
Il libro più bello - romanzi e raccolte poetiche inclusi- che abbia letto in questi ultimi mesi è il volto più vero (Rizzoli Bur, collana "I libri dello spirito cristiano", prefazione di Luigi Giussani, pagg. 240, euro 7,50) che raccoglie i diari giovanili di Don Didimo Maniero, il sacerdote vicentino (1912-1991) che fu fondatore della Dieci, del Comune dei Giovani e della Scuola di Cultura Cattolica.
Il libro è talmente semplice da risultare indivisibile, non raccontabile. Gli episodi che don Didimo racconta sono così minuti, quotidiani (oggi si direbbe: minimalisti) da eludere ogni richiamo eticizzante, ogni riassunto, ogni "succo". Il "succo" è già tutto lì, sulla pagina. L'amore di don Didimo per Gesù Cristo è così grande da generare in lui una passione per la realtà - anche per la minutaglia del reale - così profonda da far impallidire ogni poetica realista. Anche se il genere letterario adottato - il diario - non lo fa indugiare sul racconto fine a se stesso, perché don Didimo non scrive per la pubblicazione. Non gli interessano i fatti in sé, bensì ciò che li rende fatti: il loro nesso con Dio.
Tutto in quest'uomo, appare ordinato a fare conoscere, come è detto nella prefazione, "la bellezza della vita cristiana". La bellezza, appunto. Perché è la bellezza ciò che persuade i cuori. Anche il bene, anche la giustizia si manifestano attraverso la bellezza del loro accadere. Questo è il cristianesimo. Don Didimo è così libero da non dovere difendere nulla e nessuno. Ama come un padre i giovani che gli sono affidati, ma non gioca mai in difesa. Non difende nemmeno la Chiesa, e nota con imparzialità la pochezza sua ma anche dei superiori, vescovi inclusi. "E' come fanno gli uomini, tutti, nessuno escluso", scrive.
E non difende la Chiesa non perché la Chiesa non gli sta a cuore, anzi!, ma perché lui stesso è la Chiesa. Leggendo questo libro (di fronte al quale impallidiscono, a mio parere, sia il Parroco di Nicola Lisi sia, oso dire, il Curato di Bernanos) noi incontriamo non solo un grande cristiano ma, attraverso di lui, la Chiesa; non un certo modo di intenderla, ma tutta. La sua sacramentalità, il suo mistero, la sua misericordia, la sua mendicanza. "Conclusi che a Calaroga era meglio lasciare fare tutto a Dio. Tutto si intende, meno la preghiera, l'elemosina ai poveri (ce n'erano tanti a quei tempi)". Qui, c'è tutto quello che un cristiano deve sapere (ma saperlo è cosa dura). Ma lasciare fare tutto a Dio, non è fatalismo: significa farsi servitori umili del Dio fatto uomo, del Dio che si è fatto conoscere dagli uomini. Perciò significa anche farsi servitori degli uomini.
Di fronte a libri come questo, chi come me esercita il mestiere di critico sente venire meno i propri schemi, e si accorge che quegli schemi funzionavano solo perché chi aveva scritto il libro li accettava a sua volta. Qui, gli schemi saltano. Ma se "critico", viene da Krinein, giudicare, allora è proprio di fronte a opere totalmente sorprendenti, come questa, che il critico raggiunge il massimo; poiché il primo giudizio, su cui si fondano tolti gli altri, è quello che nasce dal riconoscimento di qualcosa che c'è. Il primo oggetto del giudizio è l'essere, non il valore. E l'essere si manifesta come bellezza, di fronte alla quale non ci sono difese. Per don Didimo la bellezza ha il nome di Gesù Cristo.